La storia del Consorzio
Il territorio ove sorge Lavinio era di proprietà della Principessa Donna Elena Borghese Dusmet ed era molto ricercato per la caccia, considerate la fitta vegetazione e la ricchezza di selvaggina.
Nel corso del il secondo conflitto mondiale, fu teatro dello sbarco alleato in quanto la zona risultava particolarmente idonea per condurre operazioni congiunte con le truppe che operavano nella zona di Cassino e finalizzate alla conquista di Roma. L’opera di sminamento iniziò subito dopo il termine del conflitto: la zona era di nuovo abitabile!
Il problema, a questo punto, consisteva nel se e come procedere all’urbanizzazione di una vasta area che, mantenendo intatto il suo fascino di ineguagliabile bellezza, era pur sempre ancora incontaminata e selvaggia. Il vero nodo da sciogliere consisteva nel definire se farne una borgata balneare o piuttosto destinarla all’agricoltura: salomonicamente, si decise di destinare la zona a ovest della Litoranea (verso il mare, cioè) a borgata balneare, mentre quella ad est fu trasformata in vasti campi agricoli.
L’ufficio che trattava la vendita dei diversi lotti di terreno era sito in via Campo Marzio, n.3 a Roma: era il 1945.
Come era facile prevedere, il processo di vendita dei lotti di terreno non fu affatto agevole, sia a causa delle difficoltà di accesso alle varie zone, che per i residuati bellici inesplosi ancora presenti. Al riguardo e per facilitare le complesse procedure di vendita, vennero fondate la Cooperativa Agricola “Tor Caldara”, la Società Cooperativa Agricola “Terra Nostra” e la Società “Lido di Lavinio”.
Ai primi acquirenti venivano presentate grandi carte topografiche, sulle quali erano riportati i vari lotti, ma senza che si potesse avere una visione completa e precisa del comprensorio: è proprio il caso di affermare che molti compratori investirono alla cieca!
Inoltre arrivare a Lavinio nel 1946 era tutt’altro che agevole: si organizzavano delle vere e proprie “spedizioni conoscitive”, con partenza da Piazza S. Maria Maggiore, alle ore 8. Una volta arrivati a destinazione, proprietari davano vita ad una personalissima ricerca dei loro terreni per supervisionarli. Alla sera si tornava a casa passando per l’unica “strada”, ovvero Via di Valle Schioia: un misto di sabbia e di polvere che diventava assolutamente impraticabile in caso di pioggia.